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Ultima chiamata per il PD di Matteo Renzi

n questo momento che la squadra di Governo regionale è stata azzerata politicamente e l'opinione pubblica è sbalordita e disorientata per l'ennesimo rimpasto della Giunta guidata da un uomo che ha dato vita al movimento del Megafono alleandosi con il PD e altri Partiti, rimetto una mia convinta riflessione e il contributo che intendo dare per rilanciare il dibattito sui valori portanti del PD che debbono rappresentare il baricentro della sua navigazione politica:

Ultima chiamata per il PD di Matteo Renzi

La stampa, in modo ricorrente, pone alla nostra attenzione la possibilità che avvenga una scissione nel PD.

Ciò deve fare riflettere Matteo Renzi e le componenti storiche che hanno dato vita all'Ulivo, anche quelle che sono state marginalizzate o sono state presenti, per nascondere, con la foglia di fico, la diversa mutazione genetica che ha portato dall'Ulivo alla costituzione del Partito Democratico.

Bisogna ricorrere alla memoria storica dell'ultimo mezzo secolo del 2° millennio, per ricordare il confronto e le diverse strategie politiche di quell'epoca con il mondo diviso in due blocchi, ove, in Italia, una alternativa a guida comunista era impraticabile, anzi pericolosa per la stessa democrazia.

Tale situazione comportava la tutela della stabilità del sistema, in presenza di un PCI che non intendeva cambiare la sua caratterizzazione di fondo e i legami internazionali. Conseguentemente il PCI riteneva che l'unica via realistica e innovativa fosse l'incontro di governo tra DC e PCI.

Importanti personaggi e settori della vita politica italiana, da componenti minoritari del PCI a significativi uomini delle istituzioni, del sindacato, del mondo dell'associazionismo, di matrice cattolica, laica e socialista, riassumibili, nel tempo da Livio Labor a Michele Achilli, ritenevano che occorreva destabilizzare, al pari di altri personaggi e realtà politiche presenti in Europa, gli equilibri politici derivanti dagli accordi di Yalta.

Tale posizione, più significativamente, era rappresentata dalla figura di Riccardo Lombardi, che riteneva necessario assicurare corpose riforme e sviluppare un'offensiva di vertice e di massa per determinare cambiamenti strutturali profondi.

Attorno a queste due ipotesi si manifestò un netto dissenso tra il PCI e l'area della sinistra democratica caratterizzata dalla presenza di una moltitudine di giovani che condividendone la strategia, si avvicinarono alla politica, sottraendosi all'avventura della sinistra extraparlamentare. Quest'area, oltre ad essere impersonata da Riccardo Lombardi, è stata caratterizzata da tanti altri “meticci” di cultura politica, quali Foa, Giolitti, Cotignola, Labor, Carniti, la cui aspirazione era quella di determinare un'alternativa maggioritaria e democratica del Paese, in cui i valori della dottrina sociale, della chiesa e quelli espressi dal mondo cattolico, i valori liberali, laici e del socialismo democratico, potessero coesistere e convivere ed essere portati a sintesi, determinando un'alleanza di forze maggioritarie nel Paese.

Fernando Santi, parlamentare socialista, fondatore, assieme a Di Vittorio della CGIL unitaria del dopoguerra, uomo dell'unità sindacale, che si battè sino alla morte per la ricomposizione in Federazione unitaria del sindacato, fu un'importante sostenitore di tale strategia.

Dopo la caduta del muro di Berlino tale strategia è stata quella vincente. Infatti si è imposta la necessità di unificare le componenti democratiche e riformiste del Paese, ove nessuna corrente politica potesse prevalere sulle altre, per definire, assieme, un nuovo soggetto politico.

Per restare nella storia della fine del secondo millennio ed entrare in quella più recente, basta ricordare la Cosa 2 a Firenze, quando D'Alema a conclusione dei lavori, nel 1998, dichiarò che i tempi non erano ancora maturi.

Il Pds incorporò però significativi soggetti politici, marginalizzandone i valori di cui erano portatori. Seguirono poi diversi passaggi ed iniziative, talvolta ipocrite, in cui è prevalso l'obiettivo, di gran parte degli eredi del PCI, di esprimersi nel Governo del Paese e di costruire un modello di Partito in cui la loro presenza fosse centrale e determinante.

Sostanzialmente il PD, dalla sua nascita, è stato retto da due componenti, organizzate, presenti e riconosciute, quella di matrice democristiana e l'altra post comunista, che, restando lo stato quo, non mostrano di essere portatrici di quei valori e di quelle tensioni ideali unificanti che costituiscono idealmente gli elementi fondanti de L'Ulivo e del PD.

L'avvento di Renzi, sia chiaro, si inquadra e trova ragione di essere in questo anomalo contesto.

Renzi proviene dal mondo cattolico e la sua matrice culturale ha generato negli ambienti politici del Paese grandi speranze, principalmente quella che possa finalmente restituire al PD presenze, valori e tensioni ideali, oggi assenti o marginali, e conseguentemente rendere forte il PD, la sua politica e il Paese.

Questo stato di cose deve essere al centro dei pensieri e costituire il baricentro politico di Renzi.

Se, preso dalle questioni di Governo, Matteo Renzi non assolverà a tale importante e significativo ruolo, decisivo per le sorti anche ideali e morali dei cittadini italiani, oltre al degrado del Paese, si determinerà presto quella frattura nel PD, non auspicabile da chi scrive, cofondatore de L'Ulivo in Sicilia, il quale, come tanti iscritti e simpatizzanti, molti dei quali si sono disaffezionati dal PD, sarebbe certamente lieto che nel PD ne fossero praticati i valori fondanti.

                                                                                Luciano Luciani
                                                                              Presidente Istituto Italiano Fernando Santi

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