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     Ricorso per 
    incostituzionalità nei confronti della legge sull'immigrazione dell'Emilia-Romagna/ 
    Luciani: è una legge di cui dovrebbero dotarsi tutte le regioni  
    Bologna    La 
    legge regionale sull’immigrazione adottata recentemente dall’Emilia Romagna 
    costituisce un valido precedente al quale le altre Regioni italiane 
    dovrebbero fare riferimento per dotarsi di una legislazione organica in 
    materia di integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati nel loro 
    territorio. È quanto dichiara il presidente dell'Istituto Italiano 'Fernando 
    Santi', Luciano Luciani, in presenza del ricorso che l’Avvocatura Generale 
    dello Stato ha presentato alla Corte Costituzionale per la dichiarazione di 
    illegittimità costituzionale della legge n.5 del 24 marzo 2004, recante 
    "Norme per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati. 
    Modifiche alle leggi regionali 21 febbraio 1990, n. 14 e 12 marzo 2003, n. 
    2". 
    Questa legge regola organicamente la ripartizione istituzionale delle 
    funzioni e la programmazione regionale delle attività; assicura interventi 
    finalizzati alla partecipazione sociale, alle misure contro la 
    discriminazione, alle politiche abitative, all'integrazione sociale e 
    all'assistenza sanitaria; interviene in materia di accesso ai servizi 
    educativi per l'infanzia, per il diritto allo studio, per l'istruzione e la 
    formazione professionale, l'inserimento lavorativo, l'integrazione e la 
    comunicazione interculturale e promuove, infine, iniziative che favoriscono 
    il volontario rientro dei cittadini stranieri nei Paesi d'origine. 
    Il ricorso alla Corte Costituzionale è incentrato sulla presunta e più volte 
    richiamata invadenza della legislazione emiliano-romagnola nelle materie 
    attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato. 
    Intervenuto sull'argomento, Luciani evidenzia come le questioni poste nel 
    ricorso, però, appaiono assolutamente infondate perché non tengono conto 
    delle disposizioni previste dalla legge 943/86, con la quale sono stati 
    stabiliti dei principi, in coerenza con la Convenzione OIL n.143, a tutela 
    dei diritti fondamentali dell'uomo, per la piena uguaglianza dei lavoratori 
    stranieri e delle loro famiglie. Secondo questa legge, ricorda Luciani, 
    l'attuazione di alcune attività sono affidate di agli Enti Locali e, 
    appunto, alle Regioni, molte delle quali ad oggi non hanno adottato le 
    relative delibere e i provvedimenti legislativi consequenziali. In base alla 
    legge, alle Regioni spetta anche un ruolo fondamentale per l'azione di 
    sostegno e di coordinamento delle funzioni attribuite agli Enti Locali: in 
    primo luogo, riveste rilevanza l'istituzione della Consulta Regionale per i 
    problemi dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie, la quale, nel 
    territorio della Regione, al pari della Consulta Nazionale, deve attivare 
    tutte le normative di competenza regionale finalizzate ad assicurare la 
    parità e la piena uguaglianza; inoltre, la legge 943/86, attribuisce alla 
    Consulta Regionale interventi per l'informazione dei lavoratori stranieri 
    nella nuova realtà sociale, la tutela dell'associazionismo, l'assistenza 
    sociale. 
    In questo modo, le Regioni, su iniziativa o d'intesa con la Consulta, 
    promuovono appositi corsi di lingua e cultura italiana, assicurano e 
    favoriscono la partecipazione a corsi di formazione professionale e di 
    inserimento al lavoro, promuovono programmi culturali per i diversi gruppi 
    nazionali, attuano specifici insegnamenti integrativi nella lingua e cultura 
    di origine, programmano l'utilizzazione della manodopera proveniente 
    dall'estero. 
    Come illustra ancora Luciani, il ricorso presentato dall'Avvocatura dello 
    Stato contesta il contenuto degli art.6 e 7 (Istituzione della Consulta 
    Regionale per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati - 
    Composizione della Consulta Regionale) perché, come si legge nel ricorso 
    "Tali forme partecipative riguardano all'evidenza la condizione giuridica 
    dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea e l'immigrazione; 
    materie riservate in via esclusiva alla potestà legislativa dello Stato". Il 
    ricorso contesta anche l'attività di osservazione e monitoraggio del 
    funzionamento dei centri di accoglienza, effettuata in raccordo con la 
    Prefettura dall'Osservatorio regionale sul fenomeno immigratorio, già 
    istituito in altre Regioni; l'accesso all'edilizia residenziale pubblica ed 
    ai benefici per la "prima casa", e più in generale, il concorso della 
    Regione alla tutela dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione 
    Europea. 
    Ma l'assunto - sottolinea il presidente dell'Istituto Fernando Santi - non 
    tiene conto, come detto, di quanto disposto dalla legge 943/86, né tanto 
    meno delle successive norme, particolarmente quelle introdotte con la legge 
    8/3/94 n.203, che recepisce la Convenzione di Strasburgo del 5/2/92. "Resta, 
    pertanto, convinzione - conclude Lucani - che la legge regionale 24 marzo 
    2004 n.5, recentemente adottata dalla Regione Emilia Romagna, costituisca un 
    valido precedente, al quale le altre Regioni italiane possono fare 
    riferimento per dotarsi di una legislazione organica in materia di 
    integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati nel loro territorio". 
    (aise) 
     
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